lunedì 21 novembre 2011

Nonno Felice


Quando ero piccola, a Diano Marina, appena si scioglieva il sole dentro al mare e il buio della sera avanzava investendo il cielo di stelle, il nonno Felice si alzava dalla sdraio in giardino e con me e mio fratello uscivamo dal cancelletto di ferro che separa la nostra casa dalla strada. Era lì che diventavamo spettatori di una magia.
I bambini si sa, vedono magia in ogni dove. Ed è una cosa che tanto amo e tanto invidio quando guardo negli occhi di qualcuno più basso di mezzo metro.
Nel campo di fronte a casa, tra le spighe e l'erba secca bruciata dal sole delle estati liguri, appena moriva il giorno nascevano centinaia di lucciole. Sembravano stelle alla portata di tutti. Sembravano fate che affascinano e un po' spaventano. Sembravano le luci delle barche dei pescatori nel mare immenso e nero.
Il nonno appoggiava il suo bastone al muretto e allargava le braccia come per abbracciare qualcuno o qualcosa di etereo, di intangibile. Sembravano secondi interminabili, che mi ricordo col fiato sospeso e con il battito del cuore accelerato, poi lentamente le chiudeva, due conche dinoccolate, come a fare una piccola palla che diventava come per magia una fiaccola nel buio, un piccolo miracolo racchiuso tra due grandi mani macchiate dal tempo e che profumavano sempre di pesche mature e cioccolato.
Ci sono ricordi troppo belli a volte per essere lasciati lì.